Abbiamo conosciuto Vittorio Barbieri una decina di anni fa. In quel tempo Vittorio, dopo brillanti studi in agraria e Tecnologie Alimentari, si occupava di Formazione Professionale in ambito enogastronomico e scriveva come degustatore per la Guida “Vini d’Italia” di Slow Food-Gambero Rosso.
Oggi Vittorio ha deciso di cambiare vita, dopo aver scritto per anni dei migliori vini piacentini, ha deciso di diventare lui stesso un vignaiolo ed insieme all’amico Giuseppe Quattrini gestisce l’Azienda Cascinotta di Rizzolo.
Incuriositi e affascinati dal suo inusuale percorso, abbiamo deciso di intervistarlo per la rubrica di Brindando.com “Giovani Vignaioli crescono”.
Vittorio, raccontaci come hai deciso di diventare un giovane vignaiolo in un territorio difficile, enologicamente parlando, come quello piacentino.
È strano sentirmi definire “giovane vignaiolo”, perché ho 42 anni, ma in effetti faccio questa vita e questo lavoro da nemmeno 3 anni, quindi giovane forse no, ma vignaiolo alle prime armi sicuramente sì. Frequento l’ambiente del vino da diverso tempo anche se solo nel 2012, per una serie di coincidenze, ho avuto la possibilità di passare dall’altra parte della barricata. La svolta è rappresentata da Giuseppe Quattrini dell’Azienda Cascinotta (Rizzolo, San Giorgio Piacentino), all’epoca poco più che un conoscente, che incontrandomi casualmente per strada mi ha invitato seduta stante a bere un bicchiere e a fare una chiacchierata. Dopo qualche minuto è scattata la proposta: “ti andrebbe di lavorare con me alla Cascinotta?”. Così, all’Enoteca da Renato a Piacenza, ad inizio novembre 2012 davanti a un bicchiere di Valpolicella Superiore 2000 di Quintarelli, ho deciso che avrei provato a fare il viticoltore. C’era in me la voglia di cambiare e di fare qualcosa in prima persona nel mondo del vino, ma senza questo incontro casuale chissà se l’avrei mai fatto. Così, ci siamo “annusati” per un mese, durante il quale abbiamo assaggiato tanto e pensato a ciò che avremmo potuto fare, dopo di che, ad inizio 2013, abbiamo ufficialmente iniziato l’avventura.
La Cascinotta di Rizzolo è un’azienda storica della Val Nure, conosciuta già dalla seconda metà dell”800 per essere tra le realtà locali all’avanguardia in campo viticolo. Quali innovazioni avete deciso di introdurre da quando affianchi Quattrini nella conduzione?
Io e Giuseppe seguiamo l’attività aziendale dalla A alla Z, dal vigneto alla cantina, dalla parte commerciale e di marketing alla grafica delle etichette. Oggi, come allora, La Cascinotta può considerarsi un’azienda agricola a 360°. Accanto ai vigneti, infatti, ci sono anche seminativi, boschi e una piccola stalla. Dal 1998 l’azienda produce vini da vigne con Certificazione Biologica provenienti dai filari di proprietà di fianco alla cantina e dei Murelli di Sariano, in particolare un Gutturnio Superiore e un Cabernet Sauvignon, ma nel 2013 abbiamo iniziato a co-gestire un vigneto Biologico a Fognano di Bobbio, a 500 metri di altitudine. Attualmente abbiamo due poli viticoli: le argille rosse di Sariano, che danno vini potenti e concentrati, e le terre bianche d’altura di Bobbio, più adatte invece per produrre vini agili e snelli.
Quindi l’azienda, accanto agli storici vini rossi da invecchiamento, dal 2013 sta provando a rendere più sfaccettata la propria produzione, interpretando un territorio poco conosciuto come quello bobbiese, ma secondo me potenzialmente capace di dare vini molto interessanti: freschi ed eleganti, snelli e salati. Qui dal 2013 produciamo un bianco fermo a base di ortrugo, sauvignon e malvasia che abbiamo chiamato “Sammartino“, mentre nel 2015 abbiamo fatto una prova di vinificazione di Dolcetto, vitigno tradizionale della media-alta Val Trebbia, presente dalla seconda metà dell’800, ma ormai quasi estinto. Vogliamo capire se effettivamente qui il Dolcetto possa avere caratteri peculiari e distintivi.
In vigneto ed in cantina, quali sono i metodi che prediligi?
Lavoriamo la vigna cercando di rispettare il più possibile le piante, a partire dalla potatura dove, ad esempio, cerchiamo di intervenire solo su legno giovane e di dare una forma che possa permettere alle piante di vivere in equilibrio negli anni. Non concimiamo e lasciamo sviluppare un inerbimento spontaneo. Zolfo e, all’occorrenza, rame è tutto ciò che usiamo per combattere le malattie della vite, evitando di usare prodotti dannosi per noi (che in vigna ci viviamo e ci lavoriamo) e per i consumatori.
In cantina lavoriamo con le minime tecnologie necessarie, ma sfruttando consigli e usando tecniche che ci sono state tramandate da chi ci ha preceduto. Seguiamo le fasi lunari per le varie operazioni e facciamo molta attenzione alle corrette tempistiche d’intervento per evitare, ad esempio, che si formino puzze ed odori sgradevoli durante le vinificazioni e gli affinamenti.
Tra i vini che producete, in quale Ti riconosci maggiormente?
Faccio un discorso più generale. Sia come produttore che come consumatore preferisco in genere vini sottili e slanciati, mentre Giuseppe tende verso vini di maggiore struttura. Per capirci, semplificando molto: da un lato l’Amarone, dall’altro i Riesling tedeschi. Soprattutto all’inizio era così. Un bel casino, insomma, ma anche la possibilità di fare confronti costruttivi e di crescere. Il buon senso, la pazienza e la voglia di ascoltare fanno sì che si trovi sempre una quadratura d’intenti in grado di arricchire entrambi e di produrre vini che soddisfino noi e i clienti. Almeno questo è ciò che proviamo a fare.
La sfida di produrre un Gutturnio Superiore che sia pieno e slanciato, ricco di sfumature e chiaroscuri, più che di forza bruta, mi affascina molto. Così come l’idea di sperimentare sulla Barbera in purezza (ci stiamo lavorando) e sulle terre bobbiesi in generale. In quella parte di Val Trebbia vedo grandi possibilità qualitative per il futuro della viticoltura piacentina.
Il vino piacentino più conosciuto è certamente il Gutturnio. Quale delle molteplici versioni di questo vino preferisci produrre?
Oltre al Superiore, dal 2014 abbiamo iniziato a produrre una versione di Gutturnio frizzante rifermentato in bottiglia, tecnica che può dare vini di carattere e longevità, veraci e “da pasto”. In fondo parliamo del vino dei nostri nonni, ma più buono di quello che facevano e bevevano i nostri nonni. In futuro, quindi, alla produzione di Gutturnio Superiore continueremo ad affiancare quella di Gutturnio frizzante rifermentato in bottiglia.
Molti degli addetti ai lavori, tra opinionisti, giornalisti, ed influencer, sono sempre stati piuttosto critici rispetto alle produzioni enoiche dei Colli Piacentini. Ora che anche Tu sei diventato un produttore di questi vini, come vedi il prossimo futuro per il nostro comparto vinicolo e a Tuo giudizio cosa si potrebbe fare per rilanciare l’immagine della nostra zona?
Il problema è culturale, quindi grave. Dovremmo darci una svegliata generale e smettere di lamentarci e di farci la guerra tra poveri, non parlare male ciascuno del proprio vicino e non avere complessi di inferiorità. Queste potrebbero essere alcune basi concettuali per tentare di ricostruirsi una identità territoriale.
Catapultati dall’esterno nel mondo produttivo locale e annusata l’aria, credimi, è forte la tentazione di andare per i fatti propri, perché è difficile fare gruppo. Per fortuna ci sono ancora alcune teste libere che amano il confronto.
Nei Colli Piacentini si possono fare, e talvolta si fanno, grandi cose, ma bisogna avere il coraggio di mettere in discussione quello che si pensa e che si fa, di fare continuamente delle piccole rivoluzioni quotidiane.