Come si vinificava il vino ai tempi dei Romani

Al giorno d’oggi la lavorazione e la produzione del vino sono diventate ormai totalmente meccanizzate e non è quasi più necessario l’intervento dell’uomo.

Sono infatti pochissime le persone che producono questa bevanda seguendo ancora i metodi antichi e tradizionali.

La lavorazione del vino avveniva già moltissimi anni fa; la vite arrivò in Italia per la prima volta in Sicilia circa 2000 anni prima della nascita di Cristo, grazie ai coloni greci.

Come si vinificava il vino ai tempi dei Romani?

Nell’antica Roma la consumazione del vino era limitata solo agli uomini appartenenti alla classi più agiate e di età superiore ai 30 anni; invece le donne non potevano farne uso e rischiavano di subire severe punizioni nel caso in cui avessero trasgredito la regola.

I Romani avevano imparato dai Greci, dagli Etruschi e dai Cartaginesi le tecniche e i segreti per la lavorazione e la preparazione di un buon vino e, dopo aver conquistato nuovi territori, coltivavano in quei luoghi la vite da vino, affidata alle cure degli schiavi, per produrre buon vino su scala sempre maggiore.

Ai tempi dell’Impero Romano i grappoli d’uva venivano colti a mano o con coltelli appositi e, poi, venivano trasportati nelle cantine. Nell’edificio adibito alla vinificazione si selezionavano gli acini più maturi mentre quelli ancora verdi erano utilizzati in seguito per produrre il vino destinato agli schiavi.

L’uva veniva pigiata da uomini e donne che, con i piedi, schiacciavano tutti i grappoli posti in apposite larghe vasche costruite in muratura e chiamate “calcatoria”.

Terminata la fase della pigiatura, si otteneva il mosto fiore, cioè l’insieme di succo, semi e parte delle bucce dell’uva. Esso veniva pressato con dei torchi a leva prendendo il nome di “mustum tortivum” e poi grossolanamente filtrato attraverso apposite ceste di vimini.

Infine il mosto così filtrato veniva messo a fermentare dentro i “dolia”, recipienti fatti di terracotta, dalla capacità di circa 800 litri. Essi, col tempo, furono usati anche per far invecchiare e trasportare il vino.

Per rendere più limpida la bevanda, i Romani, erano soliti mischiarla con l’albume dell’uovo oppure con il latte di capra.

Una volta terminata la vinificazione si passava alla fase della degustazione, durante la quale i “pregustatores” cioè i degustatori, assaggiavano i diversi vini per poi classificarne e distinguerne i vari tipi.

Nell’antica Roma, infatti, i vini erano diversificati in molti modi differenti: dolce (dulce), morbido (soave), molle (lene), debole (fugens), pieno (firmum), aspro, austero e alcolico.

La bevanda veniva anche venduta dai mercanti e, solitamente, era trasportata da alcune navi che una volta arrivate a destinazione scaricavano le anfore in luoghi appositamente riservati al deposito del vino.

Di solito, i Romani, non bevevano mai vino puro ma preferivano diluirlo con neve, acqua fresca o calda in base alle esigenze di coloro che lo degustavano.

Tra i molti vini consumati dai Romani, ricordiamo il vino piacentino che veniva servito in un’anforetta appositamente dedicata: il gutturnium da cui ha tratto origine, in tempi recenti, il nome del Gutturnio, il più consumato tra i vini della provincia di Piacenza.

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