Ultimamente si fa un gran parlare di ritorno alla campagna. Lo si dice soprattutto di giovani laureati che in questi tempi di crisi, non trovando sbocchi professionali adeguati ai loro studi, decidono di tentare l’avventura in agricoltura.
Si tratta certamente di una visione molto romantica della realtà, che in verità è molto meno rosea di come la si vorrebbe dipingere, specialmente in settori maturi e super competitivi come quello del vino.
Di fatto senza robuste disponibilità finanziarie alle spalle, e senza onerosi investimenti, è molto difficile farsi largo nell’amato mondo di Bacco, specialmente se si vuole operare in zone di produzione ancora poco blasonate come ad esempio i Colli Piacentini.
Tuttavia anche in questo angolo di Emila, incuneato tra Lombardia, Liguria e Piemonte, da sempre molto refrattario a qualsiasi novità, negli ultimi anni molte cose iniziano a modificarsi anche nel mondo del vino, e come è avvenuto in ogni tempo, i protagonisti di questi cambiamenti sono proprio le nuove generazioni.
Proponiamo di seguito un’intervista a Marco Terzoni, uno di questi giovani ed intraprendenti protagonisti di quello che speriamo possa presto essere per i Colli Piacentini un vero e proprio rinascimento enologico.
Nel caso di Marco non possiamo proprio parlare di ritorno alla campagna, dato che la sua è una famiglia di vignaioli da 150 anni e lui ne rappresenta con orgoglio la 5° generazione.
Alla passione per la viticoltura ereditata dai suoi avi, Marco ha affiancato studi universitari in enologia grazie ai quali ha conseguito una solida formazione scientifica. A questa ha abbinato la passione per la ricerca storica. Così la riscoperta di antichi testi, insieme ai moderni insegnamenti dell’enologo francese Christophe Ollivier, lo hanno portato a sperimentare e a brevettare nel 2009 la Crioestrazione Aromatica®.
Marco, puoi spiegarci in parole semplici come funziona e a cosa serve?
La Crioestrazione aromatica® è una tecnica allo stesso tempo semplice e complessa; si raccoglie l’uva in cassette di legno (per semplice questione di resistenza agli sbalzi termici che queste riescono a sopportare) e si pone il tutto in cella frigorifera; per i successivi 10-15 giorni si sottopone il raccolto a sbalzi di temperatura variabili (per dare un’idea generale il range va dai -4°C ai +8°C circa) dopodiché si procede alla pigiatura a temperatura ambiente. Questa procedura consente di liberare in maniera consistente quei composti aromatici varietali che solitamente sono più difficili da estrarre perciò, nel vino finale, avremo un bouquet più intenso e persistente; va da sé che la tecnica da i migliori risultati su varietà neutre, poco aromatiche, qual è l’Ortrugo per la quale è stata pensata.
Nell’azienda di famiglia, la SOC. AGR. TERZONI CLAUDIO s.r.l. sovraintendi tutte le fasi della produzione: dalla coltivazione della vite, passando per la vinificazione, sino alla commercializzazione del prodotto finito. Quali sono gli aspetti più difficili del Tuo lavoro e quali Ti danno le maggiori soddisfazioni?
Gli aspetti che ritengo più complessi sono anche quelli che mi stimolano di più e quindi non posso rispondere altro che le vinificazioni, mi spiego: sono quel tipo di persona che vuole provare sempre cose nuove, al quale piace sperimentare e che crede che i miglioramenti siano sempre possibili. Ogni anno cerco di dare vita a un prodotto nuovo o di rivisitare completamente uno che già producevo portandolo a un livello superiore. Per fare questo, com’è avvenuto anche quando ho ideato la Crioestrazione aromatica®, leggo molti libri, articoli, ricerche scientifiche e, soprattutto, provo! In cantina si possono fare tante sperimentazioni: molte volte le strade possono rivelarsi sbagliate ma tante altre si può arrivare a risultati davvero soddisfacenti che ti spingono poi a continuare nella ricerca. Dunque la principale fonte di difficoltà è anche quella che in un secondo momento mi dà soddisfazione.
Scrivi per importanti riviste di settore e svolgi con successo l’attività di enologo come consulente per altre cantine. Inoltre siedi nel CDA del Consorzio di Tutela dei vini DOC Colli Piacentini. A Tuo giudizio, cosa servirebbe alla vitivinicoltura piacentina per un compiuto rilancio a livello nazionale?
Premettendo che è difficile pensare ad un’unica risposta a questa domanda mi concentrerei soprattutto su due aspetti; il primo riguarda la mentalità del vitivinicoltore piacentino: spesso sono gli stessi produttori a non credere a sufficienza nelle potenzialità di ciò che il territorio offre loro; i nostri vini vengono classificati di seconda serie e noi ci immedesimiamo in questa categoria e ci adagiamo sugli allori…questo è sbagliato! Abbiamo un terroir degno di essere valorizzato e dobbiamo applicarci per farlo sapere al mondo. Personalmente, il fatto di avere vinto alcuni concorsi internazionali prestigiosi (vedi il “Concours Mondial de Bruxelles” o il “The World of Malvasia”), mi ha fatto capire che sconfiggere i pregiudizi è possibile; sarà un percorso difficile, in salita, ma il traguardo è alla nostra portata. Il secondo punto è più concreto: io punterei sulla Malvasia! Più sperimento con questo vitigno e più lo scopro versatile e ricco di pregi; trovo che sia sottovalutato rispetto a quanto ha da offrire e quindi investirei di più su di esso.
Tra i vini che hai realizzato in questi anni, quale Ti rappresenta meglio e perché?
E’ difficile rispondere in quanto mi piace curare ogni vino in modo minuzioso; dovendo sceglierne uno direi “Sorsi d’Incanto”: una malvasia aromatica di Candia secca ferma. Scelgo questo in quanto rappresenta appieno il mio modo di vedere l’enologia. Questa Malvasia, che suscita quasi sempre opinioni contrastanti in chi lo assaggia, rappresenta la mia personale interpretazione di questa varietà aromatica e, per le sue caratteristiche organolettiche, è estremamente differente dalle malvasie piacentine tradizionali. Per ottenere questo risultato ho utilizzato una vinificazione molto particolare e complessa che non ho mai svelato e che continuerò a mantenere segreta ma devo dire che tuttora mi sta dando enormi soddisfazioni. Una curiosità: sebbene “Sorsi d’Incanto” sia un vino che molti piacentini faticano ancora a comprendere è proprio con questo prodotto che sono riuscito ad aggiudicarmi due dei riconoscimenti più prestigiosi: l’oro al concorso “The World of Malvasia” ed un posto all’interno della “Top Hundred” di Paolo Massobrio, proprio quest’anno.
Oggi, mediamente, una bottiglia di vino su due prodotta in Italia viene venduta all’estero. La quota export dei Colli Piacentini è al contrario abbondantemente sotto il 10%. Dal Tuo punto di vista cosa si dovrebbe fare per superare questa situazione oggettivamente penalizzante per tutto il comparto?
A mio avviso, ciò che più ci penalizza come produttori dei Colli Piacentini, è l’incapacità di comunicare la qualità dei nostri prodotti al di fuori del nostro territorio. Se pensiamo che solamente spostandoci di regione in regione, pur rimanendo in Italia, solo pochissimi conoscono le nostre maggiori DOC Ortrugo e Gutturnio, come possiamo sperare che i nostri vini siano nominati all’estero? Mi rifiuto di pensare che il problema sia la qualità; le cantine piacentine, salvo casi eccezionali, hanno raggiunto un livello molto alto. La soluzione potrebbe quindi risiedere in una maggiore e più mirata promozione. Se osserviamo i casi di coloro che sono riusciti a entrare a far parte di quel piccolo 10% d’export, noteremo che si tratta di aziende che, con i dovuti investimenti, sono riusciti a farsi conoscere al di fuori dello stivale, attuando opportune strategie di marketing.
Come giornalista Ti sei occupato delle ricerche condotte a Milano sul vigneto appartenuto a Leonardo da Vinci. Che cosa hai provato nello scoprire che uno dei più grandi italiani di tutti i tempi coltivasse la piacentina uva aromatica Malvasia di Candia?
Come estimatore della Malvasia aromatica di Candia, nonché come appassionato della vita di Leonardo da Vinci, è stato emozionante poter scoprire un legame fra le due cose. D’altra parte, un genio come Leonardo, non avrebbe potuto non notare i pregi di un vitigno così prezioso. La storia delle ricerche condotte a Milano ha qualcosa di affascinante e misterioso, un po’ come accade per tutte quelle notizie che circondano la figura del grande inventore. Anche in questo caso, tuttavia, il rammarico è quello di non aver dato alla scoperta la giusta attenzione; credo che se la stessa vicenda avesse riguardato un vitigno più rinomato, probabilmente la novità sarebbe stata comunicata con maggiore enfasi.